z2o Sara Zanin is proud to present, on Friday September 20th 2024, ...senza turbare una stella | ...without troubling a star, Beatrice Pediconi’s fourth solo show in the gallery, curated by Antonello Tolve.
[1] M. de Montaigne, Essais, in Œuvres complètes, II, VI (Bibliothèque de la Pléiade), éd. M. Rat, A. Thibaudet, introd. et notes M. Rat, Gallimard, Paris 1962, p. 341.
[2] G. Agamben, Idea della prosa, Quodlibet, Macerata 2020 («Nuova edizione illuminata e accresciuta»), p. 48.
[3] In regard to these questions, see at least the indispensable and rarely appreciated J. Prieto, Principi di noologia. Fondamenti della teoria funzionale del significato, Italian translation, Ubaldini, Rome 1967.
[4] A. Tolve, Oggetto di Studio, in Id., Studi d’artista. Un’avventura culturale, Silvana Editoriale, Milan 2024, p. 15.
[5] Cfr. almeno Beatrice Pediconi. Corpi Sottili / Subtle Bodies, with texts by P. Marino and N. D. Angerame, De Luca Editori d’Arte, Rome 2008.
[6] Literally, “speech”.
[7] On the concept of upcycle, see at least R. Pils, Thinking About a Green Future, interview by T. Kay, in “Salvo. A Monthly Look at Architectural Antiques, Reclaimed Building Materials & Allied Topics”, n. 23 (special), October 11, 1994, p. 13.
[8] I reproduce here in part some reflections I wrote on the occasion of Beatrice Pediconi’s solo exhibition, Nude, curated by C. Canziani, held at Z2o Sara Zanin Gallery (Rome 2021) from February 5 to April 15, 2021, see A. Tolve, Ritagli di tempo / Cutting Out Free Time, in "arshake.com," March 17, 2021, linked on June 13, 2024, 7:16pm.
[9] The artist’s statement is included in the press release of the solo exhibition Nude, curated by C. Canciani held at z2o Sara Zanin (Rome 2021) from February 5 to April 15, 2021
[10] The artist’s statement is included in the press release of the solo exhibition Presenze, curated by A. Polveroni, held at The National Gallery of Modern and Contemporary Art, Rome, from May 10 to June 18,2023.
[11] R. Barthes, L’Obvie et l’Obtus. Essais critiques III, Édition du Seuil, Paris 1982; Italian translation, L’ovvio e l’ottuso. Saggi critici III, Einaudi, Turin 1985, p. 210.
[12] C. Pavese, La bella estate (1966), with introduction by F. Jesi, Einaudi, Turin 1997, p. 30.
[13] K. Koffka, Principles of Gestalt Psychology, Harcourt, Brace and Company, New York 1935; italian translation, Principi di psicologia della forma, Bollati Boringhieri, Turin 1970.
[14] Life begins the day you start a garden. Truth be told, there are a number of variations on the theme of this proverb:1) Life is a garden, tread slowly (人生像花园,要慢慢逛) o 2) Life is like a garden: lovely when flowers bloom, lovely when flowers fall (人生像花园,花开的时候是美的,花落的时候也是美的).
[15] Zhou Mi, Guixin zazhi 癸辛雜識 (Miscellaneous news from Guixin), Zhonghua shuju, Beijing 1997, p. 14.
[16] H. Hesse, Bäume. Betrachtungen und Gedichte, zusammenstellung V. Michels, mit fotografien von P. J. van Limbergen, Insel, Frankfurt am M. 1984, p. 29: Bäume sind Heiligtümer. Wer mit ihnen zu sprechen, wer ihnen zuzuhören weiß, der erfährt die Wahrheit. Sie predigen nicht Lehren und Rezepte, sie predigen, um das Einzelne unbekümmert, das Urgesetz des Lebens (Gli alberi sono Santuari. Those who can talk to them, those who can listen to them, will know the truth. They do not preach doctrines and recipes, they preach the original law of life, without concern for the individual).
[17] Something related to growth, instinctive and natural life, carefreeness and fertility.
[18] F. Thompson, The Mistress of Vision, Complete Poems, The Modern Library (Bennett A. Cerf - Donald S. Klopfer - Robert K. Haas), New York 1918, XXII, p. 184: «Tutte le cose vicine e lontane, / da una forza immortale / segretamente / sono collegate le une alle altre, / tanto che non puoi cogliere un fiore / senza turbare una stella […]». (The entire poem, preceded by To Converty Patmore, at the start of Dedication of New Poem (1897) and followed by Contemplation, is found on pages 177-186).
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Non puoi cogliere un fiore…
di Antonello Tolve
Il y a déjà du bonheur à connaître le désir comme désir[1]
Montaigne
Dell’ampio percorso ormai ventennale messo in campo da Beatrice Pediconi con il suo mai pago desiderio di sperimentare, di indagare o anche di incrociare tecniche e materiali di diversa natura linguistica, colpisce un’idea di studio – lo studio, in sé, è atto «interminabile», ha apostrofato Agamben[2] – in cui sembra canalizzarsi la volontà di rispondere a un imperativo estetico e di coinvolgere lo sguardo dello spettatore allungandolo sensibilmente sulla propria esperienza, come pure sul proprio modus operandi. Pediconi stabilisce infatti un corpo a corpo con il suo pubblico, invitato a leggere una sottile e composta fabula de affectibus dove ritrovare la seduzione appena accennata di qualcosa o l’apostrofo lieve e vertiginoso lasciato in un magnetico nicht gesagt alla cui base vige la fermezza di ottenere immediata disponibilità visiva nei confronti di figure, di morfemi, di grafemi, di cromemi[3], di elementi minimi, utili a costruire un racconto.
Riconducibili a un atto performativo durante il quale l’artista «danza attorno e dentro uno specchio d’acqua, fino a farsi pennello totale»[4], i lavori realizzati da Pediconi sono, almeno da quando a Roma, tra la regola e il caso, sperimentava la circolarità di gloriosi Corpi Sottili[5] (2006) per andare oltre l’iconico e approdare a un impareggiabile percorso aniconico, processi alla cui base è possibile riconoscere una potenza in atto, un pensiero che si muove veloce per controllare e prevedere, per assecondare, per modellare o anche per liberare brillanti tracce di tempo che (quasi a mostrare in fiore i frutti successivi) si depositano sulla superficie come storia.
Quello che a primo acchito sembra essere un discorso riconducibile alla speciale tradition innovante di Schad, di Man Ray, di Moholy-Nagy, di Luigi Veronesi o di un indimenticabile Bruno Munari (fino a risalire le scale del tempo verso un elegante Wolfgang Tillmans), a ben vedere è речь[6] che in Pediconi ha delle successività determinate da una eccezionale intersecazione di piani grammaticali: l’artista si spinge oltre la mera messa in questione della pratica fotografica per assorbire al suo interno procedimenti squisitamente pittorici e plastici (pure sonori, se si tiene conto che lo schermo perfetto dell’opera trattiene a sé la sonorità iridescente dell’acqua – la memoria dell’acqua – che sciaborda, che sgocciola, che penetra nella pasta cartacea o nelle trame della tela, e che scivola veloce sulla lastra lignea), per dar luogo a un vero e proprio meticciato linguistico che porta all’alba d’una metodologia del tutto inedita: d’ora in poi il dipingere sull’acqua (e poi il fotografarla) lascia definitivamente – causalmente – il posto al dipingere con lacerti fotografici, adottati come paletta pittorica per destabilizzare i significati e spostare il lavoro dall’area della metafora a quella della metonimia o più precisamente nell’autonomia, giacché l’opera non è che esclusivamente, meravigliosamente, se stessa.
Nel 2019, proprio mentre lavora alle Anamnesis (forse indagini preliminari) in cui si avverte già il sentore di uno scarto verso il passato, con una nutrita serie di Untitled su carta Beatrice Pediconi scava dunque nelle unità elementari del corpus fotografico, per mettere in campo una nuova tecnica – di cui detiene non solo il primato ma anche la maternità – che consiste nello scollamento di brandelli fotografici mediante acqua calda (da cui ricavare impalpabili, del tutto fluide scie d’emulsione, dunque di pelle fotografica) e nel loro upcycle[7] su strutture immacolate dove depositare tempi sospesi, riversare forme sinusoidali, ridisegnare sfuggenti e struggenti geometricità[8]. «Untitled agisce come il testimone di un processo di cui resta solo un’impronta, come testimonianza di una perdita: un gesto che riflette sull’assenza di memoria storica e sul distacco personale», puntualizza l’artista. «Il disegno è dunque il risultato di una migrazione, e la sua traccia volatile e minimale resta in bianco, come l’ultimo ed unico testimone di una storia. Untitled diventa quindi il mezzo per lasciare un segno come prova della nostra esistenza»[9].
A questi primi lavori, presentati nella personale Nude e nati durante quello che è definibile come lo schmittiano Ausnahmezustand (stato di eccezione che ha lasciato il posto allo stato d’emergenza e dunque al vizioso e paralizzante effetto pandemico), seguono, a distanza di pochi mesi, una serie di grandi carte presentate alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma con Presenze dove l’artista non solo affina la sua tecnica, ma mostra la più matura e intima esperienza di un vuoto, di una rottura fra passato e futuro, di una perdita che si fa traccia sottile, voce dolce del vento, dolore senza colore. «Ho sviluppato il progetto Presenze in seguito alla perdita di mio padre», avvisa l’artista, ed è, nello specifico, una riflessione «sul tema del passaggio del tempo, del recupero della memoria e della trasformazione come elaborazione del lutto.Il disegnoè il risultato di una migrazione e la sua traccia volatile e minimale resta in bianco, come testimone di una storia. La serie <Nude» di cui Presenze è naturale consecutio «diventa» ora «il mezzo per lasciare un segno come prova della nostra esistenza»[10].
Da questa ricerca silenziosa e preziosa (in cui si legge tutta la forza di enunciazioni gestuali) che si espande al di là dei suoi limiti disciplinari fino a coinvolgere il destino stesso della fotografia, nascono oggi opere mediante le quali veniamo inevitabilmente a contatto con una pratica che mira, e vale la pena dirlo con Barthes, «a trasformare la materia secondo la scala completa delle sue consistenze, con operazioni molteplici quali l’intenerimento, l’ispessimento, la fluidificazione, la granulazione, la lubrificazione, che producono quanto viene chiamato in gastronomia il glassato, il legato, il vellutato, il cremoso, il croccante ecc»[11].
Alle partiture astratte fatte di esili e affilate e a volte spigolose forme filanti che sembrano danzare sulla carta con colori che «entrano dalla finestra col sole»[12], si aggiungono in questa nuova esperienza più sofisticate composizioni che sotto la via lattea dell’addizione portano alla nascita di parvenze iconiche la cui matière subtile è carica di organiche energie attrattive e inclusive, di atmosfere che rimandano ad angoli di giardino o a frammenti di praterie dove l’artista ha la capacità di intrappolare metaforicamente e liricamente la fugacità di un papavero.
Nel controllare la reazione dei materiali e nelle lunghe attese che intercorrono tra l’applicazione di una prima, di una seconda o di una terza quarta quinta sesta settima parte che va a definire la composizione (procedimento d’una complessità e d’una pazienza a dir poco impensabili), Beatrice Pediconi ci fa sentire il rumore del pensiero che setaccia e smuove e sceglie frammenti gelatinosi di immagini prelevati da un insieme di ritagli per poi essere depositati (meticolosamente rilasciati), appunto uno per volta, su un’area muta, su uno spartito che si fa via via corollario di note cromatiche, di segni e ancor prima di gesti che una volta fissati diventano – mediante raffinati procedimenti alchemici e alchimici, finanche patafisici direi – racconto brillante, a volte eroticamente screpolato dal sole con librato ed eccitato equilibrio.
Inteso come epistruttura, ogni lacerto che l’artista deposita sulla superficie trattata a priori con pigmenti purissimi della Kremer (Prussian Blu, Gray fron Mels, Venetian Red, Anthrquinone Blue, Spanish Red Ochre, Agate Peach o Côte d’Azur Violet sono attentamente miscelati e impastati tra loro per creare verdi, violetti, celesti, arancioni, turchesi vellutati e cremosi), vive, e vale la pena sottolinearlo, una vita a sé stante e nel contempo partecipa con l’insieme per dar luogo a atmosfere evocative, a epifanie, a apparizioni dove il tutto – ce loricorda Kurt Koffka[13] – è diverso dalla somma delle singole parti poiché produce un nuovo senso compiuto, dove si va a quasi a cercare una naturale (suggestiva) complicità con lo sguardo dello spettatore che viene ferito da una leggerezza e da una levità annunciate (pronunciate) con sonora brillantezza.
Legate ancora una volta ai gesti della mano, che talvolta gratta, talvolta liscia, talvolta spiana ora con il dito, ora con il palmo, ora ancora con l’unghia, fino a riportarci dietro la pelle della pittura, nella sua storia fatta prevalentemente di strumenti e di materie, come pure d’un altro aspetto cardinale che è il movimento dell’artista, del suo corpo inevitabilmente proiettato verso il vuoto di un giardino fiorito, quello della superficie, le opere proposte da Beatrice Pediconi sono atmosfere delicate in cui si sente vibrare, fortissimo e stridente, un intenso silenzio totale nel quale riconoscere lineis et (poeticis) colorubus che richiamano pertanto alla memoria prati meravigliosamente selvatici dove crescono spontanee la malva e la malvarosa, la margherita bianca, la salvia e il caglio zolfino, la centaurea e la barba di becco, la campanula glomerata e la betonica, la coronilla e la vedovella, la veronica o ancora la vicia cracca e l’amaranto comune.
Accanto a tre carte verticali del 2023 i cui titoli sono gli stessi di rarissimi fiori (Naked man orchid, Black mamba e Kadupul flower), ci sono tutta una serie di opere su carta, su tela e su tavola che recano, come didascalia, il verso d’un componimento poetico, la riflessione d’un artista, il lacerto d’un racconto o un antico proverbio, come nel caso di Life begins the day you start a garden (2023) che se da una parte è richiamo perfetto al detto cinese 生命从你种植花园的那一天开始[14] dall’altra fa «scaturire dal cuore la maestria di un artigiano» (出心匠之巧)[15]. Di questo nuovo capitolo Trees are sanctuaries (2024) è, ad esempio, un titolo preso a prestito da Bäume[16] di Herman Hesse, secondo il quale gli alberi sono simboli legati al ricordo, alla caducità e alla rinascita, ma anche »alles Wachstums, alles triebhaften, naturhaften Lebens, aller Sorglosigkeit und geilen Fruchtbarkeit«[17].
Oltre che da una perfetta e armonica ars combinatoria che porta a un procedimento sfuggente, lontano a ogni categoria, l’ulteriorità di questi nuovi lavori è dunque data dai titoli scelti dall’artista con meticolosa cura e estrapolati appunto da poesie, racconti, romanzi o anche saggi, per creare un viatico di felice lettura e amplificare il livello evocativo dell’immagine.
Troviamo un pensiero di Erri De Luca (Un papavero rosso senza coglierne un fiore, 2024): e poi frasi di Honoré de Balzac (Il più piccolo fiore è un pensiero, 2024), di Albert Camus (L’autunno è una seconda primavera dove ogni foglia è un fiore, 2024), di Heinrich Heine (Perfumes are the feelings of flowers, 2023), di Michel de Montaigne (Se la vita è solo un passaggio seminiamo almeno i fiori, 2024), di Maria Zambrano (Le radici devono avere fiducia nei fiori, 2024), di Alice Walker (In search for my mother garden I found my own, 2023): pensieri d’artisti quali Georgia O’ Keeffe (Odio i fiori, li dipingo soltanto perché sono più a buon mercato dei modelli e non si muovono, 2024), Henri Matisse (Ci sono sempre fiori per chi vuole vederli, 2024), Robert Dash (Gardening is an obsession, 2023) e William Kent (All gardening is landscape painting, 2023): o ancora riflessioni provenienti dai territori della fisica quantistica e relativistica – Raccogli un fiore sulla terra e muoverai la stella più distante (2024) è una frase di Paul Adrien Maurice Dirac.
… senza turbare una stella: anche il titolo di questa mostra viene naturalmente dalla poesia: è un verso della Mistress of Vision di Francis Thompson che, nell’interrogarsi sul dove sia «the land of Luthany» e dove «the region Elenore» (XXI, p. 184), scrive…
All things by immortal power,
Near or far,
Hiddenly
To each other linkèd are,
That thou canst not stir a flower
Without troubling of a star[18].
[1] M. de Montaigne, Essais, in Œuvres complètes, II, VI (Bibliothèque de la Pléiade), éd. M. Rat, A. Thibaudet, introd. et notes M. Rat, Gallimard, Paris 1962, p. 341.
[2] G. Agamben, Idea della prosa, Quodlibet, Macerata 2020 («Nuova edizione illuminata e accresciuta»), p. 48.
[3] Su tali questioni si veda almeno l’indispensabile e poco frequentato L. J. Prieto, Principi di noologia. Fondamenti della teoria funzionale del significato, trad. it., Ubaldini, Roma 1967.
[4] A. Tolve, Oggetto di Studio, in Id., Studi d’artista. Un’avventura culturale, Silvana Editoriale, Milano 2024, p. 15.
[5] Cfr. almeno Beatrice Pediconi. Corpi Sottili / Subtle Bodies, con testi di P. Marino e N. D. Angerame, De Luca Editori d’Arte, Roma 2008.
[6] Letteralmente, «discorso».
[7] Sul concetto di upcycle si veda almeno R. Pils, Thinking About a Green Future, intervista di T. Kay, in «Salvo. A Monthly Look at Architectural Antiques, Reclaimed Building Materials & Allied Topics», n. 23 (speciale), 11th October 1994, p. 13.
[8] Riprendo qui in parte alcune riflessioni che ho scritto in occasione della personale di Beatrice Pediconi, Nude, a cura di C. Canziani, tenuta alla Z2o Sara Zanin Gallery (Roma 2021) dal 5 febbraio al 15 aprile 2021, cfr. A. Tolve, Ritagli di tempo / Cutting Out Free Time, in «arshake.com», 17 marzo 2021, linkato il 13 giugno 2024, ore 19:16.
[9] La dichiarazione dell’artista è inserita nel comunicato stampa della personale Nude, a cura di C. Canziani, tenuta alla Z2o Sara Zanin Gallery (Roma 2021) dal 5 febbraio al 15 aprile 2021.
[10] La dichiarazione dell’artista è inserita nel comunicato stampa della personale Presenze, a cura di A. Polveroni, tenuta alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, dal 10 maggio al 18 giugno 2023.
[11] R. Barthes, L’Obvie et l’Obtus. Essais critiques III, Édition du Seuil, Paris 1982; trad. it., L’ovvio e l’ottuso. Saggi critici III, Einaudi, Torino 1985, p. 210.
[12] C. Pavese, La bella estate (1966), con una introduzione di F. Jesi, Einaudi, Torino 1997, p. 30.
[13] K. Koffka, Principles of Gestalt Psychology, Harcourt, Brace and Company, New York 1935; trad. it., Principi di psicologia della forma, Bollati Boringhieri, Torino 1970.
[14] La vita ha inizio il giorno in cui si comincia un giardino. Ad onor del vero questo detto ha tutta una serie di varianti come 1) La vita è come un giardino, cammina lentamente (人生像花园,要慢慢逛) o 2) La vita è come un giardino, è bella quando i fiori sbocciano e bella quando i fiori cadono (人生像花园,花开的时候是美的,花落的时候也是美的).
[15] Zhou Mi, Guixin zazhi 癸辛雜識 (Varie Esperienze del quartiere Guixin), Zhonghua shuju, Beijing 1997, p. 14.
[16] H. Hesse, Bäume. Betrachtungen und Gedichte, zusammenstellung V. Michels, mit fotografien von P. J. van Limbergen, Insel, Frankfurt am M. 1984, p. 29: Bäume sind Heiligtümer. Wer mit ihnen zu sprechen, wer ihnen zuzuhören weiß, der erfährt die Wahrheit. Sie predigen nicht Lehren und Rezepte, sie predigen, um das Einzelne unbekümmert, das Urgesetz des Lebens (Gli alberi sono Santuari. Chi saprà parlare con loro, chi saprà ascoltarli, conoscerà la verità. Non predicano dottrine e ricette, predicano la legge originaria della vita, senza preoccuparsi dell’individuo).
[17] Qualcosa legato alla crescita, alla vita istintiva e naturale, alla spensieratezza e alla fertilità.
[18] F. Thompson, The Mistress of Vision, Complete Poems, The Modern Library (Bennett A. Cerf - Donald S. Klopfer - Robert K. Haas), New York 1918, XXII, p. 184: «Tutte le cose vicine e lontane, / da una forza immortale / segretamente / sono collegate le une alle altre, / tanto che non puoi cogliere un fiore / senza turbare una stella […]». (L’intero poema, anticipato da To Converty Patmore che apre Dedication of New Poem (1897) e seguito da Contemplation, è alle pagine 177-186).