Fabrizio Prevedello, Mani
Critic text by Antonio Grulli
One day a man said: "let not your left hand know what your right hand is doing".
Today everything must know or let everything know about everything.
But hands do not speak. Hands think, learn and do; but they do not speak. And no one could understand this better than the son of a carpenter, who had learned his trade in the workshop and got to know the materials firsthand.
And Fabrizio's hands are the extremities of his condition as a diviner in search of matter. Hands carried around in the mountain, hands that climb, hands that hunt for the substance of his art, hands that pick up a stone and turn it repeatedly; hands that caress, hands that smooth; hands that grasp, that break, that straighten, that join, that assemble. Hands that pick up the stone discarded by the builder to make it into a cornerstone.
His studio is in the mountains where he lives, where he often sleeps outdoors. The mountains that closed off to the east the territory of the Ligurians, a still very mysterious people that surely once extended as far as Provence, perhaps as far as Spain. This is the cultural landscape in which he moves, lives and works: a land where the land is everything, where stones are alive. Where modernity was born in the form of Provençal poetry; where Petrarch, on Mount Ventoso, created the concept of climbing as a spiritual ascent and as an attribute of the new man; where Cézanne spent years outdoors painting a mountain with a visible soul.
They are living mountains, with a soul, they contain divinities that become stone and dust. No one remotely endowed with sensibility can avoid becoming an animist when they stand among these mountains, which seem to rise from within the bowels of the earth, high and hard but close to the Mediterranean. It is no coincidence that a veritable "Study of the South" has existed in these places for more than a century. A study made en plein air, which for Fabrizio has been shaped mainly by journeys from quarry to quarry, from buildups of debris to buildups of debris, from canal to canal, from laboratory to laboratory.
But the relationship with deep spaces in the ground, with earth, with stone, is also and always a relationship with Chthonic forces. For there are hands, but there are also Hands. Hands as deities from beyond the grave, from the underworld, who were of great importance to the ancient Romans, and to whom food was offered, mainly bread, wine, honey, milk, precisely because of their connection to the agricultural world.
Death, a theme that seems almost to have disappeared from the contemporary art world, is instead central to Fabrizio Prevedello's poetics, including in his recovery of references to the funerary sculpture of the past, such as the great tombs of Canova, and in their reuse by reinterpreting them and making them completely contemporary, thus reaffirming that sculpture is related to death, or else that it is not.
The very origin of sculpture cannot but be linked to the displacement of a stone in order to mark a burial. Above all, it is so because of its relation to gravity, because of the way it reminds us how we are all in a continuous and unstoppable downward fall but some of us are able to do so dancing like a satyr or kissing as only in a Rodin sculpture it is possible to kiss.
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Un giorno un uomo ha detto: “non sappia la tua mano sinistra quel che fa la destra”.
Oggi tutto deve sapere o far sapere tutto di tutto.
Ma le mani non parlano: le mani pensano, imparano e fanno; ma non parlano. E nessuno poteva capirlo meglio del figlio di un carpentiere, che aveva appreso il mestiere a bottega e aveva conosciuto i materiali sulla sua pelle.
E le mani di Fabrizio sono le estremità della sua condizione di rabdomante in cerca di materia. Mani portate in giro per la montagna, mani che scalano, mani che cacciano la sostanza della sua arte, mani che raccolgono, girano e rigirano una pietra; mani che accarezzano, mani che lisciano; mani che agguantano, che spezzano, che raddrizzano, che uniscono, che assemblano. Mani che raccolgono la pietra scartata dal costruttore per farla diventare testata d’angolo.
Il suo studio è tra i monti in cui vive, in cui spesso dorme all’aperto. I monti che chiudevano a est il territorio dei Liguri, popolazione ancora molto misteriosa, che si estendeva sicuramente fino alla Provenza, per alcuni fino alla Spagna. Questo è il panorama culturale in cui si muove, vive e lavora: una terra in cui la terra è tutto, in cui le pietre vivono. In cui la modernità è nata sotto forma di poesia provenzale; in cui Petrarca, sul Monte Ventoso, ha creato per primo il concetto di scalata come ascensione spirituale e come attributo dell’uomo nuovo; in cui Cézanne ha passato anni all’aperto dipingendo una montagna dotata di un’anima visibile.
Sono monti vivi, portano lo spirito dentro, contengono divinità che si fanno pietra e polvere. Nessuna persona minimamente dotata di sensibilità può evitare di diventare animista quando si trova tra questi monti, che sembrano muoversi dall’interno delle viscere della terra, alti e duri ma vicini all’arco mediterraneo. Non a caso in questi luoghi, da più di un secolo, si è creato un vero e proprio “Studio del Sud”. Uno studio fatto en plein air, che per Fabrizio si declina soprattutto in derive di cava in cava, di ravaneto in ravaneto, di canale in canale, di laboratorio in laboratorio.
Ma il rapporto con il basso, con la terra, con la pietra, è anche e sempre un rapporto con le forze Ctonie. Perché ci sono le mani, ma ci sono anche i Mani. Mani come divinità dell’oltretomba, del mondo sotterraneo, che avevano una grande importanza per gli antichi romani, e a cui veniva offerto cibo, prevalentemente pane, vino, miele, latte, proprio per il loro legame con il mondo agricolo.
La morte, un tema che sembra quasi essere sparito dal mondo dell’arte contemporanea, è invece centrale nella poetica di Fabrizio Prevedello, anche nel suo recupero di riferimenti alla scultura funebre del passato, come le grandi tombe di Canova, e nel loro riutilizzo reinterpretandoli e rendendoli completamente contemporanei. Ribadendo in tal modo che la scultura è legata alla morte, o semplicemente non è.
L’origine stessa della scultura non può non essere legata allo spostamento di una pietra al fine di segnare una sepoltura. Ma soprattutto, lo è per il suo rapporto con la forza di gravità, per il suo modo in cui ci ricorda come tutti noi siamo in caduta continua e inarrestabile verso il basso ma alcuni di noi sono in grado di farlo danzando come un satiro, o baciandosi come solo in una scultura di Rodin è possibile baciarsi.