Serena Fineschi | Noi e loro: curated by Marina Dacci

This Friday, November 22, z2o Project takes great pleasure in presenting Noi e loro, the first personal exhibition of the work of Serena Fineschi (Siena, 1973) at its display space in Via Baccio Pontelli 16 curated by Marina Dacci.
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In Loro e noi, Serena Fineschi sets up dialogue between Us and Them on what might and what might not happen in a conscious evolution of one's own humanity with an eye on the changes going on in others.
Relazioni [Relations], something of a premise that introduces us to the exhibition, stages a potential relationship between the self and the “other than self” symbolically represented by a glove, the quest for a point of contact whose success or failure remains uncertain.
The underlying narrative based on the artist's biography from childhood to adulthood, is expressed in veritable “portraits” of what is shown and what is hidden in which body and language make up the contradictory rules of the game. The works bring order to a mnemonic journey from the most distant to the most recent experiences.
 
Some 20 works done from 2020 to 2024 occupy the space like so many stations to provide a complete panorama of the various organic and inorganic media and materials the artist uses, from photography to ceramics, from works on paper to assembled and manipulated objects and materials.
In their fragility and malleability, paper, the element of choice in Serena Fineschi's works, together with the ceramics she has been experimenting with recently, enter into tactile symbiosis with the artist’s body during the creative process and assume performative roles.
Other physical elements are also brought into play: saliva, mucous membranes, and organic fluids imprinted on the materials used in various ways become parts of the body of the work.
 
The paradox of language as the classic code of communication and driver of sociality is presented here in its dichotomy: the direct affirmation of the principle of duality in the work Noi e loro as opposed to reflections on words left unsaid that throw shadows onto our relationships. Because they can often be untrue, unclear, or unusable, words lead us to the Tower of Babel that has kept us divided, not united. Silence, on the other hand, is sometimes more meaningful than words themselves. In the code of silence, the word drops out. Silence in a conversation can raise fear, but sometimes also courage and complicity. Silence can “leave freedom to imagine” all that has not been said and/or faith in our capacity for contact that has no need to use the code of language. The works Sonata muta. Silenzi [Muted Sonata. Silences] and Le parole che non ti ho detto [The Words I Never Told You] are punctuated by pauses and signs that enliven authentic musical scores.
 
Our body knows this deeply and tells no lie.
Many of Serena Fineschi’s works derive from her study of proxemics, the physical distance or proximity that invariably exists in relations between people (also extending to psychic and emotive distance) at both individual and social/public level. Spatiality, real and symbolic at the same time, plays a key role in the daily transactions we cannot neglect.
 
The human body is presented in the various meanings it lends relationships: La battaglia di San Romano [The Battle of Saint Romano]relates how social conflicts of childhood once lived as games can transform into tension, pressure from society, distrust and cultural distances that lead to alienation in adolescents and adults.
 
Aspects involving proxemics are clearly expressed in the works as follows.
Bagno Eden tra l’orizzonte e il mare [Eden Beach Resort between Horizon and Sea]: a ream of paper clamped in a carpenter’s vise evokes compressed, crushed layers of personality.
La cacciata dal paradiso. La resa: [The Fall from Paradise. final reckoning]: a sheet of copper placed on a human body electrifies and generates distancing.
Cattive compagnie [Bad Company]leads to “inner rotting”.
L’altro lato della vergogna [Shame’s Back Side]: potential protagonists represented in a series of inverted frames turn their backs on the viewer in a “heartfelt reflection on human behavior based on fakery.”
Malelingue [Gossips]: a set of rasps or files sharpened seductively by the artist's own hand create ambiguous detachment akin to “greedy mouths of perfidy working in the underworld of lies” while deviously presenting themselves otherwise.
 
In other works, such as (Un giorno all’improvviso; Les Fleurs du Mal) [Suddenly, one day; Les Fleurs du Mal], the artist evokes the experience of feeling protected, understood, and accepted, and in the candid physical intimacy shorn of defenses that ensues, the work’s material becomes the body’s skin. 
In Trovarsi al riparo nella convenzione. Geografie [Seeking Refuge in Convention. Geography],she then considers potentially rewriting our relationship with the environment in which the human body expands charged with life-giving and visionary energy in a new approach that goes beyond conventions and stereotype.
 
In Vogliamo parlare d’amore? [Shall We Talk About Love?], three small photographs bring the exhibition to its logical conclusion by showing the artist working with clay and how this material embodies her relationship with a work of art in which one dissolves into the other in a generative relationship resolved through one’s own Self, reinforcing self-acceptance, and restoring vibrations of positivity.

 

Marina Dacci

Translated by Craig Allen

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Loro e noi in dialogo, messi in scena da Serena Fineschi, su ciò che può o non può accadere in una evoluzione consapevole della propria umanità rispetto ad altre umanità.
Una sorta di premessa che introduce la mostra è l’opera Relazioni che mette in scena un potenziale rapporto tra il sé e “l’altro da sé” – rappresentato simbolicamente da un guanto – alla ricerca di un punto di contatto lasciando nell’incertezza di un potenziale successo o fallimento.
La narrativa sottesa afferisce alla biografia dell’artista dall’infanzia all’età adulta cucendo ritratti su ciò che si mostra e ciò che si nega e in cui corpo e linguaggio costruiscono le contraddittorie regole del gioco. Le opere punteggiano così un percorso mnemonico dalle esperienze più distanti a quelle più recenti.
 
Una ventina di opere, prodotte dal 2020 al 2024 sono collocate nello spazio come tante stazioni e offrono una prospettiva a tutto tondo sui vari media e materiali organici e inorganici utilizzati dall’artista: dalla fotografia, alla ceramica, da interventi su carta ad oggetti e materiali assemblati e manipolati.
Durante il processo creativo, la carta, elemento d’elezione nelle opere di Serena Fineschi, così come la ceramica sperimentata recentemente dall'artista, nella loro fragilità e malleabilità, entrano in una sorta di simbiosi tattile con il suo corpo e divengono altamente performative.
Anche altri elementi fisici entrano in scena e diventano parte del corpo dell’opera come la saliva e le mucose, fluidi organici che sono impressi in vari modi sui materiali impiegati.
 
Paradossalmente il linguaggio, codice comunicativo e generatore di socialità per eccellenza, viene presentato qui nella sua dicotomia: la dichiarazione diretta sul principio di dualità nell’opera Noi e loro e la riflessione sulle parole non-dette che generano ombre relazionali. Le parole spesso sono bugiarde o ambigue o inutili collocandoci in una torre di Babele che allontana invece di unire. I silenzi, talvolta, sono più significativi delle parole stesse. Nel codice del silenzio, la parola è sottratta: un silenzio verbale che può scaturire dalla paura, ma talvolta dal coraggio e dalla complicità, un silenzio che “lascia la libertà di immaginare” ciò che non è detto e/o ha fede nella capacità di contatto che prescinde l’uso del codice linguistico. In Sonata muta. Silenzi e ne Le parole che non ti ho detto le opere sono punteggiate da pause e segni che danno voce a vere e proprie partiture sonore.
 
Il corpo invece la sa lunga in questo e non mente.
Molte opere di Serena Fineschi si focalizzano sull’approccio prossemico: sulla distanza o la vicinanza fisica interpersonale (che rimanda a quella psichica e affettiva) sul piano dell’intimo del sociale e del pubblico. È uno spazio reale e simbolico al contempo, elemento significante nelle transazioni quotidiane da cui non è possibile sottrarsi.
 
Il corpo è presentato nelle sue diverse accezioni relazionali: La battaglia di San Romano racconta i conflitti sociali dell’infanzia vissuti come gioco che diventano poi tensioni, pressione sociale, diffidenza e distanza culturale emarginante nell’adolescenza e nell’età adulta.
 
Questi paradigmi, basati sulla prossemica, sono espressi con chiarezza nelle opere Bagno Eden tra l’orizzonte e il mare in cui una morsa comprime una foliazione identitaria, La cacciata dal paradiso. La resa in cui un filo di rame che poggia su un corpo si elettrizza generando allontanamento e in Cattive compagnie in cui le frequentazioni negative portano a una “marcescenza interiore”.
Nel lavoro  L’altro  lato della vergogna i potenziali protagonisti, rappresentati da una serie di  cornici rovesciate, danno le spalle a chi guarda e rappresentano  una “sentita riflessione sui comportamenti umani basati sulla finzione”, così come Malelingue una serie di lime, lavorate e rese seducenti  ed affilate dalla mano dell’artista, creano un distacco ambiguo e  sono paragonabili a “bocche avide di perfidia... che agiscono nel sottosuolo della  menzogna” pur presentandosi  in modo suadente.
 
Serena Fineschi al contempo evoca in alcune opere l’esperienza del sentirsi protetti, compresi, e accettati e la conseguente intimità fisica che si mostra senza veli in cui la materia delle opere diventa pelle del corpo (Un giorno all’improvviso; Les Fleurs du Mal). L’artista dà poi corso a una possibile riscrittura del rapporto con l’ambiente in cui il corpo si espande caricato di energia vivificante e visionaria: un nuovo approdo oltre le convenzioni e gli stereotipi (in Trovarsi al riparo nella convenzione. Geografie).
 
In Vogliamo parlare d’amore?, tre piccole fotografie che chiudono idealmente la mostra, è ritratta l’artista al lavoro con la creta. Qui la materia incarna la sua relazione con l’opera in cui l’una si scioglie nell’altra in un rapporto generativo e risolto con il proprio Sé capace di rafforzare l’auto-accettazione e restituire una vibrante di positività.

 

Marina Dacci